venerdì 4 giugno 2010

RICETTA PER GAZA



Prendete un pezzo di terra di 40 km per 5, circa, e chiamatela Gaza. Successivamente, riempite questo spazio con 1.400.000 abitanti. Circondatelo con il mare a Ovest, l'Egitto di Mubarak a Sud, Israele a Nord e a Est e chiamatela "Terra di terroristi". Ora dichiaratele guerra e invadetela con 243 carriarmati, 687 blindati, 43 postazioni di lancio, 346 mortai, 3 satelliti spia, 64 informatori di cui 12 spie infiltrate e 8.000 uomini di fanteria. Adesso dite che è per difesa d'Israele... Ah... vi raccomando, ai fini di buona riuscita ricordatevi di dichiarate che non avete nessuna intenzione di colpire direttamente la popolazione civile.

martedì 4 maggio 2010

NON SO DOVE VADO MA LO FACCIO CON CLASSE (elisa di bernardi e fosco anoardi)



ingredienti per 3,14 (più o meno quattro):

riso thai o basmati
1 ananasssso (pulito meglio che in spiaggia)
3 teste d'aglio (più o meno)
2 buste di zaffer(ano)
cannella
pinoli
brie
peperoncino rosso
gamberetti
brodo vegetale (dado)

istruzioni per l'uso:


Iniziate con il mettervi a vostro agio con un saggio aperitivo a base di rhum e coca-COLA( possibilmente green island...ve lo forniremo su richiesta).
Barcollando.... avvicinatevi ai fornelli ed accendeteli tutti anche se ve ne serviranno solo 2...e dico 2...nn 1...Soffriggere l'aglio in un filo d'olio (con amore possibilmente), dopodichè, tagliate a cubetti l'ananassssoo(oo) ed accompagnatelo al soffritto. Prima spolverata di zaffer(ano). Aggiungete i gamberetti e fate una giravolta sul posto, fatela un'altra volta...(....) guarda in sù, guarda in giù e dai un bacio a chi vuoi tu.
Aggiungete i pinoli. Adesso è l'ora del riso. Fatelo dorare quel tanto che basta. siete quasi arrivati... (pure noi)... Adesso aggiungete, di tanto in tanto (elisa consiglia ogni tre sorsi di rhum e coca-COLA), il brodo vegetale. Adesso è tutta in discesa... mentre ascoltate Alpha Blondy ed un pò di Sega, controllate ogni tanto la cottura e ricordatevi di mescolare frequentemente. Appena il riso è cotto, aggiungete un tocco di pepe rosso e la pietanza è pronta per essere impiatta (by Fosco).
Per una presentazione DELUX del piatto (quella magna) tagliate alla julien il Brie e mettetelo a 'mo di rete sul riso...con mano delicata e veloce... uno..."sputo" di cannella sul tutto...e...Non dimeticate, dovete evocare il tropico dei tropici dei tropicissimi, quindi, se non l'avete già buttata....aggiungete le tre foglie di ananasssso(oo) per piatto ;-P [questo è un tocco di classe degno da gambero rosso....peccato che dopo averlo buttato avessimo pure svuotato i posaceneri....(by Eli)].

p.s

fateci sapere il risultato

mercoledì 14 aprile 2010

Volevo solo provare a volare


Bolivia, 8 ottobre 1967

Ho appena finito di rileggere Giovenale. Delicatamente riposo il libro sul mio petto e lo premo leggermente con i palmi delle mani, quasi a volerlo inglobare dentro di me. Questo è uno dei momenti che preferisco: la soddisfazione e il senso di tranquillità che si prova dopo aver finito di leggere un libro. Una sottile brezza di Favonio accarezzava il mio viso e culla dolcemente l'amaca attaccata con ragnatele agli alberi. Il cielo incominciava a tingersi di indaco e arancione, di viola e di smeraldo. La notte tarda ad arrivare e lascia posto al momento più bello della giornata. Il crepuscolo fonde i colori come in un mercato del Karaki, e la mente ed i pensieri si mescolano. I muscoli si rilassano, il sangue rallenta brevemente la sua corsa e il cuore i battiti, il cervello riposa per pochi secondi. Solo gli occhi e le orecchie rimangono guardinghi, pronti a catturare le più impercettibili sfumature surreali e a farne poesia. A valle la gente è ancora indaffarata a lavorare. C'è il vecchio Bosè che conta le pecore di ritorno dai pascoli, Lara e Agapito che finiscono di scaricare le botti, Demetrio che continua ad abbaiare alle galline. Le voci si mescolano insieme e risalgano la vallata fino alle mie orecchie. Non sono voci dispettose. Accompagnano l'imbrunire nella sua dolce danza finale. Ecco il crescendo che si manifesta come le più belle melodie di un tempo. I timpani battono più forte, velocissimi e caldi, e si fondono in un unico tuono. Ecco i fiati, i clarinetti e i pifferi, e poi gli ottoni, le trombe, i tromboni e i sassofoni, i violini e i violoncelli... è un crescendo continuo ed emozionante. La natura offre il suo spettacolo migliore, ma non tutti possono sentire, non tutti vogliono ascoltare. Le mie orecchie continuano ad accogliere queste sinfonie immaginarie e la meraviglia del mondo accompagna la poesia del momento. Siamo al gran finale. Rullo di tamburi. La musica diventa un rumore assordante. La notte cala come un manto di lino blu ricoperto di smeraldi.
Finalmente chiudo gli occhi e il cuore ricomincia a battere regolarmente, il sangue a scorrere e il cervello a pensare.
Un altra giornata in questo angolo sperduto di mondo. Ancora guardo il cielo e ancora penso a quello che è stato. Solitario e romantico ripercorro con i ricordi le gesta di un uomo che provò a fare dell'oceano una goccia.
Una scarpa maldestra e un laccio libertario lo accompagnano lungo i campi Elisi della realtà e lo scortano verso una delle sette porte dell'inferno. Un amico goffo scruta l'orizzonte, e con eleganza indica un punto dell'infinito: “là!... è là che dobbiamo andare!”. Un vecchio destriero intona un lamento nella notte di ghiaccio e illumina una strada. Come un Ulisse ma senza un'amata né una meta, né uno scopo. L'unica legge una parola, l'unico confine un pensiero.
Sono particolarmente stanco da un po' di tempo, malinconico più del solito. Ho generato soldati e gli ho armati di speranza e di forza, di rispetto e di coraggio. Ho insegnato a chi mi stava intorno ad essere, senza dimenticare mai di essere Altri tra gli Altri. Ho visto conigli comportarsi da leoni e leoni dimostrarsi conigli. Ho visto piccoli uomini ammazzare, uomini disperati, goffi e nudi. E poi ho visto uomini grandi sorridere dietro grandi scudi. Ma adesso sono stanco, la tempesta dentro me si sta un po' calmando... adesso, che i grilli e le cicale approfittino pure di queste quiete. Il ragno che tesseva la mia amaca è andato a dormire, forse stanco del mio filosofare, e al suo posto una foglia di ebano mi porge alla madre terra da dove ero venuto. Sono tornato a casa mamma!

martedì 30 marzo 2010

Un fiume di merda verde


Un'onda verdognola color vomito avanza inesorabile lungo lo stivale. Sgorga dai fetidi monti veneti e ingorga le valli lombarde. Una melma olivastra e malaticcia ricopre l'intera pianura. Nelle grandi città del nord invano si cerca un rimedio. Qualcuno propone di costruire una diga di marza pane e contenere l'inondazione solo nella bassa pianura veneta, ma qualcun altro fa giustamente notare che la melma è già giunta fin dentro gli appennini piemontesi fin anche a quelli tosco-emiliani.
Allora un amincolo bassoccio e baffuto propone di deviare il flusso della melma: “costruiamo dei canali laterali, in modo tale da deviarne il tragitto... potremmo, se non respingerla, per lo meno deviarla!”, “già... è dove? In Francia?... non anzi, in Spagna?” fa eco un uomo alto e corpulento che si erge alle spalle del nanerottolo.
Torino ne è oramai invasa, le sue strade sono sommerse dal verde vomito. Liquame e vomito, ecco a cosa somiglia. Una putrida e sgradevole sostanza gelatinosa, senza una precisa forma ne sostanza. Perfino l'odore è insopportabile. Uova marce, piedi sporchi, calzini di cinque giorni, una maglietta sudata, una carcassa di animale putrefatta, una fogna a cielo aperto. Sono tante puzze che messe insieme non si annullano ma al contrario si esaltano.
Mentre si decide sul da farsi arrivano notizie pessime. Milano è data per spacciata, Vicenza e Verona sono talmente sommerse che all'orizzonte non si scorgono neanche i campanili delle chiese. Venezia resiste a stento, la vecchia Serenissima ha affrontato ben altri tipi di inondazioni e mareggiate, ancora qualche impavido è deciso a lottare fino alla fine, nuove barriere e nuovi argini vengono costruiti lungo il litorale di Mestre, ma le speranze sono deboli e il nemico e forte.
Altre voci di resistenza giungono dalla Val D'Ossola e da Verbania. Una lunga cinta muraria argina la fiumana malvagia e terrificante, pochi giovani sono sopravvissuti, qualche anziano signore ancora invaso dallo spirito dei tempi che furono, senza sosta e senza indugio, continua ad ammassare sacchi di sabbia li uni su li altri, massi su massi, travi su travi. Una bicicletta, una panchina, una cabina del telefono, una carrozzina, un cartello stradale. Una barricata variegata colorate che contrasta vistosamente con le tonalità di morte e fetore della melma olivastra.
Solo l'Emilia sembra ancora in grado di resistere all'invasione.

Alfio si guarda intorno, si è appena svegliato e non sta capendo un cazzo. Sente solo solo il rumore di motori e il vociare di uomini per la strada. È ancora rincoglionito dalla sera prima. Sul pavimento mozziconi di sigarette e canne fanno compagnia alle bottiglie di birra semivuote. Lo stereo è ancora acceso e il cd dei Doors rincomincia per la tredicesima volta. Si alza, si passa una mano pesante sulla faccia quasi a voler scacciare il sonno e la stanchezza. Conta fino a tre... uno... due...tre. È in piedi. Un attimo immobile, svarioni nella testa, “forse non avrei dovuto alzarmi così bruscamente”.
Guarda l'orologio, le quattro, pesanti come un tuono. Incuriosito dal chiasso della strada decide di vedere cosa succede, ma prima, raccoglie uno spinello superstite e lo accende. Si avvicina alla finestra ancora sbarrata e la spalanca. La luce del sole lo acceca, non vede nulla se non un bianco paradisiaco e immacolato che penetra le palpebre chiuse con prepotenza. Un 'olezzo fastidioso gli fa riacquistare i sensi. Puzza di letame e putrido marciume. Le forme si fanno più nitide e chiare. Piano piano ridefinisce i colori e le forme delle cose. La strada è invasa da un fiume in piena, verde e gelatinoso. Dalle case di rimpetto altra gente assiste impietrita alla visione. Da dove viene questa merda? Cosa sta succedendo?

In meno di tre ore tutto il nord Italia è invaso da questo melma e nessuno sa come è cominciato tutto né come fermare questa invasione. I più audaci continuano a resistere costruendo dighe di fortuna ma oramai è troppo tardi. Come è potuto succedere? E lo stato? La polizia? I vigili del fuoco? La protezione civile? Chi doveva prevenire questa ecatombe? Chi è il responsabile? E adesso che bisogna fare?

mercoledì 27 gennaio 2010

DITTATURA DEL PROLETARIATO


Questo raccontino è apparso sul numero speciale de Il manifesto del 17 dicembre 2009, intitolato “Comunista a chi?”. Lo dedico a Manolo Morlacchi e Costantino Virgili, ennesimi “brigatisti nelle intenzioni” (cioè “non hanno fatto un cazzo ma avrebbero potuto…”), finiti in galera a scopo preventivo. Il primo, poi, per ragioni “di stirpe“. (V.E.)

«“Socializzeremo tutto, eccetto i barbieri”» disse Paolo Ferrero, esausto, posando l’AK 47 su un tavolo del Viminale.
«E’ una frase bellissima. Lenin?» chiese Oliviero Diliberto, mentre cercava di togliere la polvere dalla divisa grigioverde.
Alle sue spalle Marco Rizzo, suo eterno contestatore, stava posando con precauzione il bazooka. «Ma che stronzata. Lenin non si è mai occupato di barbieri. Sarà un altro teorico.»

«Infatti» sorrise Ferrero. «Si tratta di Mario Tanassi, segretario del Partito Socialdemocratico prima di Mani Pulite.»
«Perché i barbieri no?» chiese Diliberto.
«Tanassi rettificò durante una Tribuna Politica. Anche i barbieri erano da socializzare.»
Il dialogo si svolgeva mentre nelle strade si combatteva ancora. Le milizie del CPO Gramigna avevano ormai preso Montecitorio. Quelle del Crash di Bologna occupavano tutta l’area da Ponte Milvio a Piazza del Popolo. Il Vittoria di Milano presidiava la Stazione Termini. Il colpo di Stato era fallito, si combatteva in ogni città italiana. A tutti era chiaro che a Roma si svolgeva la battaglia decisiva, specie dopo la fuga del papa ad Avignone.
Dai cortili giungeva il fragore delle fucilazioni. «Questo deve essere Gasparri, oppure La Russa» osservò Ferrero, trasognato.
«No, è D’Alema» disse secco Ferrando, che entrava in quel momento. «Come ultimo desiderio ha chiesto di avere l’estremo rapporto carnale con Berlusconi. Non è stato possibile accontentarlo.»
Si curvarono tutti sulla carta geografica, come se potesse fornire chissà quali risposte.
Ferrero guardò da sopra gli occhiali, che gli erano scesi sulla punta del naso, come sempre. La forma del suo naso era adatta allo scopo. «Adesso si tratta di realizzare il comunismo. Qualche idea?»
Ferrando parlò con sicurezza. «A ciascuno secondo i suoi bisogni, da ciascuno secondo le sue possibilità. E’ facile.»
«Facile?» Ferrero rialzò gli occhiali. Era la prima volta in vita sua che lo faceva. «Barbieri a parte, chi potrebbe gestire enormi complessi industriali? Le ferrovie? Le telecomunicazioni? Gli impianti siderurgici?»
«Forse dovremmo sentire Toni Negri» propose Sergio Bologna dal fondo della sala. «Lui aveva in merito idee ben precise.»
Ferrero annuì. «Ottima proposta. Portatemi qua Negri. O magari Casarini.»
Ferrando assunse un’espressione desolata. «Fucilati tutti e due. Pochi minuti fa.»
«Ma perché?»
«Il Comitato di Salute Pubblica li ha definiti deviazionisti. Sostenevano l’assimilazione degli ex ceti medi al proletariato.»
Senza dare nell’occhio, Sergio Bologna infilò la porta.
Ferrero sospirò e scartò la mappa. «Basta. Dobbiamo fare il comunismo. Siamo nella fare transitoria definita “dittatura del proletariato”. Non c’è che lo Stato che possa gestire strutture produttive di grande ampiezza. E’ il socialismo. A ciascuno secondo il suo lavoro, da ciascuno secondo le sue capacità.» Guardò Ferrando. «Dico bene?»
«In teoria sì» rispose il leader trotzkista «però sarebbe capitalismo di Stato. Nulla a che vedere con il comunismo.»
«D’accordo, però a chi faremmo gestire i grandi impianti?»
«Si può pensare a soviet di lavoratori che eleggano i loro manager.»
«Per un periodo transitorio.»
«Certo, transitorio.»
Si fece avanti Marco Rizzo. «Se permettete. Andrebbe individuato un capitalista che guidi mezzi di informazione, attività finanziarie, banche e sistemi di comunicazione, gruppi assicurativi. Il soviet voterebbe per lui come primo manager, a larga maggioranza. Lo fecero anche in Russia, durante la NEP.»
Ferrero scosse il capo. «Non esiste un tipo così.«
«Sì che esiste» disse Ferrando. «Silvio Berlusconi.»
«Non lo hai già fucilato?»
«No. E’ lì in cortile che aspetta il plotone d’esecuzione.»
«Portalo qui subito!»
Poco dopo Berlusconi faceva il suo ingresso, scortato da due guardie dell’Officina 99 di Napoli. Diliberto gli lanciò un’occhiata carica di disprezzo. L’ex presidente del Consiglio appariva invecchiato e affaticato, tuttavia non mancava di vivacità.
«Eccolo qua, il fascista.»
«Mai stato fascista, non credete alle calunnie dei giornali.» Berlusconi frugò sotto la giacca tutta spiegazzata. «Posso anzi mostrarvi la tessera del partito bielorusso Comunisti per la Democrazia, firmata dal compagno Lukashenko in persona.»
«Non ci basta» replicò Diliberto, a muso duro.
«Non siate ingrati. Quando tutti sostenevano che i comunisti non esistevano più, ero l’unico a dire che c’eravate ancora.»
L’osservazione colpì positivamente tutti i presenti. Ferrero finì con l’annuire. «C’è un fondo di verità. Ma non è sufficiente a salvarle la vita.»
Berlusconi non si lasciò smontare. «Cosa diceva il compagno Lenin? Che il comunismo sono i soviet più l’elettrificazione. Voi mettete i soviet, io l’elettrificazione. Credetemi, sarò un presidente proletario.»
Ferrando, che sembrava il più perplesso, parve convincersi. Si accarezzò la barba che non pettinava da trent’anni. «Be’, si può provare» mormorò.
«Sì, sono d’accordo» disse Rizzo.
Ferrero guardò Diliberto, che gli fece un cenno di consenso. «E sia.» Chiamò un miliziano del CPO Gramigna. «Metti quest’uomo in libertà. Fallo scendere in cortile.»
«Subito.» Il miliziano accompagnò Berlusconi alla finestra e lo gettò di sotto. Si udirono un urlo e un tonfo.
«Ma che ti prende?» urlarono tutti.
Il miliziano tolse la pistola dalla fondina e la brandì. «Compagni, la dittatura del proletariato è finita. Inizia la fase successiva. Quella dell’estinzione dello Stato.»

(da Carmilla)