martedì 8 dicembre 2009

Dove vive mia nonna


Ho dei felici ricordi legati a questo territorio; penso all'odore del mare che arriva da Fontane Bianche, portato da un caldo Scirocco, alla forma delle case, basse, piccole, ammucchiate le une sulle altre, al colore della terra, rossa, marrone, a volte bianca, ma sempre arrida e secca.
Sono ricordi legate per lo più all'estate, quando la famiglia Ambrogio ripercorreva l'Italia al contrario, e dalla fredda Valle d'Aosta riscendeva alla calda Sicilia.
Ho sempre visto Cassibile come una terra particolare, sicuramente speciale, dove non esistono cittadini cassibilesi ma amici, parente, conoscenti, compari, vicini, colleghi e compagni.
Il paese non è per nulla grande, sfiora i seimila abitanti, molti dei quali lavorano nei campi agricoli che circondano l'abitato urbano. La terra è povera ma adatta alla coltivazione di patate, agrumi, pomodori e ortaggi.
Nei miei ricordi di bambino Cassibile è abitata da gente simpatica, cordiale, dai modi sicuramente contadini ma mai volgari.
La vita è sempre trascorsa lenta a Cassibile. La strada principale, che attraversa il paese tagliandolo in due, segna il tempo della giornata. Al mattino il traffico è assordante, c'è chi ritorna da Siracusa, c'è chi invece è diretto in città; ci sono i camion, carichi di patate, ci sono i tir, che passano per Cassibile, devono imboccare l'autostrada, o per lo meno, quella che tra un po' diventerà l'autostrada Siracusa-Gela.
Di pomeriggio, soprattutto in estate, la strada è deserta. Pochissime macchine sfidano la calura pomeridiana, e poi, è difficile rinunciare alla siesta, già misembra di vedere un intero paese sbraiato al fresco, magari in camera da letto o in cucina, sul divano, con un Pinguino Delonghi sparato in faccia.
La strada ritorna trafficata solo verso le sedici. Ancora camion, ancora macchine, ancora motorini.
In tutta questa prosa quotidiana, monocromatica e monotona, non mancano mai gli stranieri, sicuramente non mancano mai nei miei ricordi. Arrivando dalla strada di Avola è difficile non notarli. Li vedi curvi nei campi, a volte li vedi camminare in fila indiana lungo la strada, a volte li vedi sdraiati in qualche panchina, a volte stanno parlando tra di loro negli angoli di strada.
L'immigrazione non ha mai lasciato queste terre. Prima erano i siciliani a partire, ad imbarcarsi verso nuovi luoghi immaginati, esotici, sconosciuti.
Nei primi del novecento, molti cassibilesi scelsero la via delle Americhe, decisero di imbarcarsi in enormi e paurosi transatlantici. Poche certezze e grandi speranze. Questo era il bagaglio, questo era quello che serviva, e nulla più. Qualcuno di loro è tornato dalle loro famiglie o parenti, molti altri no; hanno preferito rifarsi una vita da un'altra parte, hanno preferito un'altra realtà, hanno scelto altre occasioni1.
Poi è successo che i cassibilesi hanno smesso di emigrare, hanno scelto di rimanere, sicuramente partire non era più conveniente. Il lavoro c'era, il livello della vita era alto, o per lo meno, lo sarebbe diventato, c'erano nuove opportunità. E allora si è deciso di rimanere e di costruire. Costruire case, sempre di più. Fino a quando non si è creato un'altra Cassibile, una Cassibile moderna, o per lo meno, come poteva esserlo negli anni del boom economico ed edilizio. Così molti cassibilesi si spostarono nel nuovo paese, che sorgeva a soli pochi metri dal vecchio borgo. Nello stesso periodo arrivano altri immigrati. Arrivano dei marocchini. Prima alcune famiglie che si insediano nelle, oramai, abbandonate e decadenti case del borgo. Ne arrivano sempre di più. Vengono per lavorare la terra, per guadagnare, sopratutto. Il vecchio Mustafà ha passato metà della sua vita a lavorare per mantenere la sua famiglia lasciata in Marocco.
È anche questa la Cassibile dei miei ricordi. È anche la Cassibile dei marocchini al bar o nelle piazze, degli etiopi nei campi di patate, dei senegalesi che vendono le collanine sulla spiaggia. Non riesco ad immaginare una Cassibile senza immigrati, esistono da quando ne ho memoria. Esistono nella realtà così come esistono nell'immaginario comune di tutti noi italiani.
L'immigrato ci viene proposto come “un altro” rispetto al “noi”, un diverso senza dubbio, un “lontano” e sopratutto uno sconosciuto, e forse è questo quello che ci fa più paura.

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